Gli Abominii di Yondo (The Abominations of Yondo)

Translation of Clark Ashton Smith by Translated by: Alberto Dalla Fontana

La sabbia del deserto di Yondo non e' come la sabbia degli altri deserti; perché Yondo si trova più di tutti vicino al confine dei mondi; e strani venti, provenienti da un pozzo che nessun astronomo potrà mai sperare di sondare, hanno seminato le sue terre desolate con la polvere grigia di pianeti sgretolati e con le nere ceneri di soli estinti.

Le oscure colline semicircolari che si alzano dal suolo grinzoso e butterato non sono del tutto sue, alcune sono asteroidi caduti e semisommersi dalla sabbia abissale.

Strane cose sono strisciate su Yondo dagli spazi infernali, cose la cui incursione e' proibita dagli dei in tutte le terre sane e ben ordinate; ma non ci sono questi dei su Yondo, dove invece vivono antichi spiriti di stelle morte e demoni decrepiti rimasti senza casa dopo la distruzione di inferni ormai dimenticati.

Era il pomeriggio di un giorno di primavera allorche' emersi da quella interminabile foresta di cactus in cui mi avevano abbandonato gli spietati inquisitori di Ong, e vidi innanzi ai miei piedi l'inizio delle grigie terre di Yondo. Lo ripeto, era il pomeriggio di un giorno primaverile; ma in quella spaventosa foresta io non trovai traccia ne' ricordo di una primavera; e le gonfie, fulve, morenti e semimarce piante che io incontrai durante il mio cammino, non erano cactus normali, ma disgustose forme abominevoli che a stento potrei descrivere. L'aria era pesante e impregnata di un odore stagnante di decadimento; e licheni malati chiazzavano il suolo nero e la vegetazione sanguigna con frequenza sempre crescente.

Vipere verde pallido sporgevano le loro teste da sotto i tronchi di cactus abbattuti e mi guardavano con occhi di luce ocra privi di palpebre e di pupille. Cose come queste mi perseguitarono per ore; odiavo quei funghi mostruosi, con i gambi senza colore e le ondeggianti teste malva velenoso, che crescevano dagli orli fradici di fetide pozze d'acqua; e le onde sinistre che si diffondevano e si smorzavano sull'acqua gialla al mio avvicinarsi non erano certo rassicuranti per una persona dai nervi ancora scossi da torture innominabili.

In seguito, quando i cactus malati e pustolosi divennero più radi e stantii, e rivoli di sabbia cinerea iniziavano ad insinuarsi tra di essi, cominciai a sospettare quanto grande era l'odio che la mia eresia aveva suscitato tra i sacerdoti di Ong e a comprendere l'infinita malignità della loro vendetta.

Non entrerò in dettaglio nel raccontarvi le circostanze che mi portarono, straniero imprudente di terre lontane, nelle grinfie di questi potenti e temibili maghi servitori del dio dalla testa di leone Ong. Queste circostanze, e i particolari del mio arresto, sono troppo dolorosi da ricordare; e men che mai desidero rammentare la tortura delle budella di drago cosparse con polvere di diamante, su cui i malcapitati venivano distesi ignud e poi stirati; o quella stanza buia con le finestre da sei pollici da cui gonfi vermi nutriti da cadaveri in decomposizione strisciavano all'interno a centinaia dalle vicine catacombe.

Sarà sufficiente dire che, dopo aver dato libero sfogo alla loro turpe fantasia, i miei inquisitori mi sistemarono bendato sulla groppa di un cammello per lasciarmi, dopo un tragitto interminabile, in quella sinistra foresta verso il finire del mattino. Ero libero, dissero che potevo andare dove volevo; e in nome della clemenza di Ong, mi diedero un pezzo di pane raffermo e una bottiglia di pelle piena di acqua rancida come scorta. Era il pomeriggio dello stesso giorno in cui arrivai al limitare del deserto di Yondo.

Fino ad allora , non avevo ancora pensato di tornare indietro, a causa di tutti quegli orribili cactus marcescenti, e delle altre piccole cose malvagie che nascondevano. In quel momento mi ero preso una pausa, ben sapendo le tremende leggende che riguardavano quella terra in cui ero arrivato; perché Yondo e' un luogo dove pochi si sono avventurati di bella posta e senza costrizione alcuna. E i pochi che riuscivano a tornare da quei luoghi, balbettavano di orrori sconosciuti e strani tesori; e gli arti rinsecchiti e scossi da tremiti violenti di quei poveretti semiparalizzati accanto al bagliore folle dei loro occhi sfuggenti dalle ciglia e sopracciglia incanutiti, non contribuivano certo ad incoraggiare chi avesse avuto in animo di addentrarsi nel deserto di Yondo. Così, esitai a lungo sul limitare di quelle terre grigio cenere, e avvertii il tremito di una nuova paura salire dalle mie viscere. Sarebbe stato tremendo sia proseguire sia tornare indietro, perché ero sicuro che i sacerdoti avevano previsto una tale eventualità. Così, dopo un pò, decisi di andare avanti, canticchiando ad ogni passo, con riluttante disinvoltura, seguito da certi insetti dalle lunghe zampe che avevo incontrato durante il tragitto fra i cactus.

Questi insetti erano del colore di un cadavere vecchio di una settimana ed erano grandi come tarantole; ma, quando intrapresi il cammino ed iniziai a calpestare il suolo di Yondo, un mefitico fetore si alzò, più nauseante ancora del colore di quegli insetti, tanto che, per il momento, cercai di ignorarli il più possibile.

In realtà queste cose erano gli orrori minori della mia situazione. Davanti a me, sotto un grande sole malato e scarlatto, Yondo appariva interminabile come la terra in un sogno indotto dall' hashis, sullo sfondo di un cielo nero.

In fondo, sul limite più lontano, si innalzavano le nere montagne semisferiche di cui ho detto prima; in mezzo si stendevano terribili spazi di grigia desolazione, e basse colline spoglie come il dorso di mostri semisepolti.

Arrancando, scorsi enormi pozzi dove le meteore cadute erano completamente sprofondate; e gioielli colorati brillare nella polvere. Mi imbattei in cipressi abbattuti che marcivano, simili a mausolei sbriciolati, sui cui sudici licheni grossi camaleonti strisciavano tenendo delle perle regali nella bocca.

Nascoste dalle basse colline, vi erano città delle quali nessuna stele era rimasta incorrotta, città immense e senza memoria, disgregate pietra dopo pietra, atomo dopo atomo, per andare a nutrire desolazioni infinite. Trascinai i miei arti indeboliti dalle torture sopra grandi mucchi di detriti che una volta furono templi possenti; e divinità cadute si accigliavano tra il marciume o mi lanciavano bieche occhiate dal porfido spaccato ai miei piedi.

Su tutto regnava un silenzio malvagio, rotto soltanto dal riso diabolico delle iene, e dal fruscio delle vipere proveniente dai boschetti di spine morenti o da antichi giardini infestati da ortiche e fumarie avvizzite.

Raggiunta la cima di una delle molte colline simili a dei tumuli, scorsi le acque di uno strano lago, insondabilmente scuro e verde come la malachite, segnato da strisce di sale fulgente. Tali acque giacevano lontano in basso sotto di me in una valletta a forma di coppa; ma dappertutto ai miei piedi sulle ondulate, consunte colline sorgevano cumuli di quel sale antico; e compresi che il lago altro non era che il torbido residuo di un antico mare.

Scendendo dal dirupo giunsi in breve alle acque scure, e iniziai a sciacquarmi le mani; ma provai un acuto e corrosivo dolore in quell'acqua salata immemore, tanto che desistetti subito preferendo la sabbia del deserto che lentamente mi aveva coperto come un sudario.

Qui decisi di riposare un poco; e la fame mi spinse a consumare parte delle scarse e beffarde vivande di cui ero stato rifornito dai sacerdoti. Era mia intenzione andare avanti se la la mia fibra me l'avesse permesso, e raggiungere le terre che giacciono a nord di Yondo. Queste lande sono in realtà desolate, ma la loro desolazione e' più normale di quella di Yondo; ed erano a volte attraversate da alcune tribù di nomadi. Se la fortuna mi avesse arriso, avrei potuto imbattermi in una di esse.

La misera colazione mi diede energia, e, per la prima volta da un numero di settimane di cui avevo perduto il conto, percepii il sussurro di una debole speranza. Gli insetti cadaverici avevano smesso da un pezzo di seguirmi; e fino ad allora, a dispetto dell'irrealtà del sepolcrale silenzio e della polvere delle rovine senza tempo, non avevo incontrato niente di orribile nemmeno la metà di quegli insetti. Iniziai a pensare che gli orrori di Yondo fossero stati in qualche modo esagerati.

Fu allora che udii un diabolico riso provenire dalla parte della collina giusto sopra di me. Il suono cominciò con una tagliente bruschezza che mi allarmò oltre ogni ragione, e continuava senza fine, rimanendo costante nella sua singola nota, come la risata di un demone idiota. Mi girai e vidi la bocca di una caverna oscura, ornata di stalattiti verdi simili a zanne, di cui non mi ero ancora accorto. Il suono sembrava venire da quella grotta.

Con i sensi allerta, terrorizzato fissavo l'ingresso buio. Il suono cresceva sempre più forte, ma per un pò non potei vedere nulla. Al più riuscivo a distinguere un chiarore biancastro nell'oscurità; poi, con la rapidità di un incubo, emerse una Cosa mostruosa. Aveva un corpo pallido, glabro, a forma di uovo, grande come quello di una capra gravida; e questo corpo era sostenuto da nove gambe ondeggianti con molte frange, come le zampe di un ragno enorme. La creatura corse oltrepassandomi verso la riva; e vidi che non c'erano occhi nella sua strana faccia obliqua, ma due orecchie come coltelli si ergevano sulla testa, e un sottile naso grinzoso pendeva giù da sopra la bocca, le cui labbra cascanti, da cui usciva quell'eterno riso soffocato, mettevano in mostra file di grossi denti. Bevve l'acqua acida e amara del lago, poi , soddisfatta la sete, si girò e sembrò avvertire la mia presenza, perché il naso grinzoso si alzò e puntò verso di me, odorando udibilmente. Se la creatura avesse voluto fuggire o attaccarmi, non lo posso dire; perché non potendo sopportare oltre quella vista, fuggii con le gambe tremanti tra le rocce pesanti e i grandi cumuli di sale lungo le rive del lago.

Mi fermai infine, completamente senza fiato, e accertatomi di non essere inseguito , sedetti, continuando a tremare, all'ombra di un masso roccioso. Ma potei godere di una misera tregua, perché iniziò la seconda di quelle bizzarre avventure che mi costrinse a credere a tutte le folli leggende che avevo udito. Più impressionante ancora di quel diabolico riso fu il grido che si alzò vicino al mio gomito dalla sabbia salina, un grido che poteva venire da una donna sofferente un'agonia atroce, o abbandonata in balia di mille diavoli. Voltandomi, contemplai una Venere; nuda, in una candida perfezione, senza timore di subire una disamina, era immersa fino all'ombelico nella sabbia. I suoi occhi spalancati dal terrore mi supplicavano e le sue mani di loto si allungavano implorando aiuto. Balzai accanto a lei... e toccai una statua di marmo, le cui ciglia scolpite erano abbassate in qualche enigmatico sogno di cicli morti, e le cui mani erano sepolte con la perduta leggiadria dei fianchi e delle coscie. Di nuovo fuggii, scosso da una rinnovata paura; e di nuovo udii il grido di una donna in agonia. Ma questa volta non mi girai per vedere i suoi occhi e le sue mani imploranti. Su per il lungo pendio, verso il nord di quel lago maledetto, inciampando sui massi di basanite e sui ripiani cosparsi di punte metalliche griogioverde; balzando tra i pozzi di sale, sulle terrazze modellate dalla marea in ritiro di antichi eoni. Fuggii, come un uomo vola da un incubo ad un altro di una notte cacodemoniaca.

Intanto c'era un freddo sussurro nel mio orecchio, che non veniva dal vento del mio volo; e guardando indietro, quando giunsi su una delle terrazze più alte, percepii un'ombra singolare che correva seguendomi passo dopo passo. Non era l'ombra di un uomo, ne' di una scimmia, ne' di una qualsiasi bestia conosciuta; la testa era troppo grottescamente elongata, il corpo tozzo troppo gibboso; e non riuscivo a distinguere se l'ombra possedeva cinque gambe, o se ciò che appariva essere la quinta era semplicemente la coda.

Il terrore mi comunicò nuova forza, e avevo già raggiunto la sommità della collina quando ebbi l'ardimento di girarmi nuovamente indietro, ma l'incredibile ombra seguitava a tenere il passo; e ora avvertivo un curioso e insano odore, osceno come l'odore di pipistrelli appesi in un ossario tra la muffa della corruzione. Corsi per leghe, mentre il sole rosso declinava sopra le montagne-asteroidi che si stagliavano a ovest; e la misteriosa ombra continuava a seguirmi mantenendosi sempre alla stessa distanza.

Un'ora prima del tramonto giunsi a un cerchio di piccole colonne che si ergevano miracolosamente intatte tra i grandi cumuli di rovine corrotte. Passando tra queste colonne udii un verso, come quello di un animale feroce, tra la collera e la paura, e notai che l'ombra non mi aveva seguito all'interno del circolo. Mi arrestai e attesi, ipotizzando intanto di aver trovato un santuario che il mio sgradito inseguitore non avrebbe avuto il coraggio di violare; e in quel momento la mia idea fu confermata dal comportamento dell'ombra. La Cosa esitava, poi correva intorno al circolo di colonne, sostando spesso tra di esse; e infine, seguitando a lamentarsi, si diede alla fuga e disparve nel deserto verso il sole morente.

Per una buona mezz'ora non osai muovermi; poi, l'imminenza della notte, con tutto il suo carico di nuovo terrore, mi spinse ad andare avanti fintanto che potevo verso nord. Mi trovavo infatti, ora, nel cuore di Yondo dove i demoni e i fantasmi potevano assalire chi non portava rispetto al santuario delle colonne incorrotte.

Mentre avanzavo faticosamente, la luce del sole cambiava sensibilmente; perché il disco rosso vicino all'orizzonte collinoso affondava, ardendo lentamente, in una cintura di nebbia miasmatica, dove la polvere galleggiante di tutti i templi sgretolati di Yondo si mescolava ai vapori malefici che si arricciavano verso il cielo dagli enormi golfi neri giacenti al di là del limite più esterno del mondo.

In quella luce l'intero deserto, le montagne arrotondate, le colline serpeggianti, le città perdute, erano imbevute di uno spettrale e scuro scarlatto.

Poi, oltre il nord, dove le ombre si addensavano,di là venne una curiosa figura; un uomo alto in catene, bardato di tutto punto; o, meglio, ciò che assunsi essere un uomo. A mano a mano che si avvicinava, sferragliando malinconica ad ogni passo sulla terra cosparsa di rovine, vidi che la sua armatura era di ottone chiazzato di verde e grigio; e un casco dello stesso metallo, munito di corna arrotolate e di una cresta dentellata, si alzava alto sopra la sua testa; dico la sua testa, perché il sole era ormai tramontato, e non potevo vedere chiaramente a quella distanza. Ma quando l'apparizione giunse più vicino, mi accorsi che non vi era un volto sotto i bordi di quel bizzarro elmetto, i cui vuoti contorni si stagliarono per un istante contro la luce ardente. Poi la figura passò oltre e, continuando a sferragliare malinconicamente, sparì.

Ma alle sue calcagna, prima dello svanire della luce, venne una seconda apparizione, stridendo con incredibile intensità e fermandosi quasi sopra di me nel crepuscolo di fiamma; la mummia mostruosa di un qualche antico re, ancora incoronata con oro lucente, esibendo al mio sguardo sgomento un volto che più di un'era e di un verme avevano devastato. Bende rotte penzolavano intorno alle gambe scheletriche, e sopra la corona ornata da zaffiri e rubini arancioni un qualcosa di nero dondolava e accennava orribilmente; ma, per un istante , non vidi ciò di cui si trattava. Poi , giusto a metà, due occhi obliqui e scarlatti si aprirono e brillarono come tizzoni infernali, e due zanne di serpente scintillarono nella sua bocca scimmiesca. Una tozza, glabra e informe testa sopra un collo di lunghezza sproporzionata si chinò giù inspiegabilmente e sussurrò nell'orecchio della mummia.

Quindi, con un urlo, il titanico cadavere coprì metà della distanza fra di noi;

dalle pieghe della stoffa sbrindellata si sporse un braccio ossuto e dita scarne ad artiglio cariche di gemme splendenti raggiunsero e frugarono la mia gola...

Indietro, indietro atttraverso eoni di pazzia e di terrore, in un volo precipitoso corsi via da quelle dita spaventose che si appigliavano al crepuscolo dietro di me; indietro, indietro per sempre, senza pensare, senza esitare, verso tutti quegli abominii che avevo già lasciato; indietro nel crepuscolo sempre più fitto, verso le rovine decrepite e senza nome, il lago, la foresta di cactus maligni, e infine i crudeli inquisitori di Ong, che attendevano il mio ritorno.

English original: Gli Abominii di Yondo (The Abominations of Yondo)

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